Esame eseguito per determinare l'eventuale presenza nel sangue di citomegalovirus, un virus che risiede nelle feci, nel sangue, nell'urina, nelle secrezioni vaginali, oro-faringee (vale a dire di bocca e gola) e cervicali di un paziente infetto.
Spesso la medicina, per effettuare esami di laboratorio utili per la diagnosi, fa ricorso alle tecniche della biologia molecolare, che è una disciplina che studia soprattutto gli acidi nucleici (DNA, ovvero acido desossiribonucleico, ed RNA, ovvero acido ribonucleico) e molte proteine (molecole fondamentali per la vita), per spiegare qual è la relazione esistente tra la loro struttura e la funzione svolta all'interno delle singole cellule e di ciascun organismo.
Nel caso in questione il sangue è sottoposto ad opportune indagini per vagliare l'eventuale presenza del DNA del virus e, dunque, del virus stesso.
A seconda dell'età e delle condizioni del sistema immunitario del soggetto infettato, il citomegalovirus può provocare quadri clinici diversi. La forma più tipica è congenita, cioè presente dalla nascita, perché acquisita in utero dalla madre; l'infezione può passare da madre a neonato anche durante il parto o per ingestione del virus dal latte materno. La maggior parte dei bambini infetti non presenta sintomi, ma in alcuni casi si possono essere ingrossamento del fegato, ittero (colorazione giallognola di pelle ed occhi), alterazioni a carico del sistema nervoso centrale che possono portare a cecità, sordità e ritardo mentale. Nei casi in cui la malattia è acquisita (cioè si è presentata in una fase della vita diversa da quella della nascita) si trasmette attraverso goccioline di saliva, contatti sessuali o mediante donazione di sangue e di organi.
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